Più che giusta che sia pace possibile

Il comunicato con cui la Santa sede ha accompagnato la nuova missione del cardinale Matteo Maria Zuppi in Cina come inviato del Papa parla della ricerca di una pace giusta. È importante, ma chiediamoci: è veramente possibile una pace giusta? La storia ne conosce? Nella storia la pace viene di solito dopo che una delle parti in conflitto ha prevalso sulle altre e detta quindi le condizioni.

Legittimamente certo, ma possiamo anche dire con adeguato senso di giustizia? Guardiamo alla pace seguita alla sconfitta del nazismo: i vincitori hanno imposto le loro condizioni agli sconfitti. Giusto in apparenza, ma come dimenticare che quella pace riservata ad alcuni Paesi ne ha lasciati altri sotto il dominio dello stalinismo sovietico non muovendo un passo neppure quando la repressione comunista soffocava con le armi ogni anelito di libertà ( Budapest 1956, Praga 1968 e 1977, Polonia anni Settanta e Ottanta…). Pace giusta?

Per non andare al trattato di pace siglato dopo la carneficina della Grande guerra e la dissoluzione dei grandi imperi ottomano, asburgico e russo. Cosa ne è seguito: rivolte sociali in tutta Europa, affermazione del comunismo sovietico in Russia, nascita di fascismo e nazionalsocialismo in Italia e Germania. Pace giusta?

È forse meglio abbandonare l’utopia di una pace giusta (visto tra l’altro che i due Paesi interessati pensano che la giusta pace sia solo quella che vogliono loro) per concentrarsi su una pace possibile.

Ma qui si vede il grande limite delle istituzioni mondiali. Nessuna di esse ha l’autorevolezza per proporre una soluzione non “giusta”ma “conveniente “ per i contendenti. Non si può puntare le sorti del mondo (perché di questo si tratta alla fine) sulla vittoria di una parte sull’altra, cosa sempre più complicata e difficile.

Una situazione di stallo in cui comunque militari e civili continuano a morire. E intanto il conflitto che divide Russia e Ucraina sta dividendo l’intero mondo come si è visto nel recente incontro del G20 in India mentre cresce l’insofferenza di Paesi emergenti verso l’unilateralismo a guida americana, tanto più davanti allo spettacolo, non proprio edificante, con cui gli USA si avvicinano alle elezioni presidenziali.

Ci vorrebbero leader mondiali consapevoli del dramma che si vive in questo crinale della storia e che non può essere affrontato con le sole armi dell’economia e neppure con le armi degli eserciti: il film su Oppenheimer ci ammonisce sul pericolo reale del potere nucleare. Solo leader che conoscano la storia dei popoli e le vicende del passato che ne forgiano ancora oggi l’identità possono immaginare soluzioni accettabili e trovare la forma di un compromesso realistico che fermi le armi.

C’è anche un’altra risorsa, anche se molto più scarsa, che possiamo evocare: il perdono. Certo questa è una risorsa che non si può imporre. Può solo nascere dal cuore di uomini e donne con il dono di una visione del mondo alta, religiosa, cristiana. Penso a persone come le signore Margherita Coletta, vedova di un carabiniere ucciso a Nasiriyah o Gemma Calabresi, vedova del commissario assassinato dalle Brigate rosse e tante altre che in questi anni drammatici sono state capaci di testimoniarlo. Ma se ne troveranno di queste nel tessuto dei Paesi in guerra?

«Ora pensate per un momento al significato della parola pace. Non vi pare strano che gli angeli abbiamo annunciato la Pace, quando il mondo è incessantemente sconvolto dalla guerra e dalla paura della guerra? …Riflettete ora su come parlò della pace il Nostro Signore. … Voleva Egli dire pace come noi la intendiamo?

Il Regno d’Inghilterra in pace con i suoi vicini, i Baroni in pace con il Re e il capofamiglia che conta i suoi pacifici guadagni, il focolare ben tenuto…egli diede la pace ai suoi discepoli ma non la pace come la dà il mondo…».(T.S. Eliot, “Assassinio nella cattedrale”, dalla predica di Natale dell’arcivescovo Becket).

La conclusione di Becket è che solo il sacrificio personale contribuisce alla pace vera.

Difficile paragonare l’oggi a un avvenimento di novecento anni fa e tuttavia la responsabilità dei cristiani rimane quella
di tentare un giudizio diverso che nasce dall’esperienza vissuta nella comunità cristiana.

Didascalia: Thomas Becket assassinato nella cattedrale (credit Vatican News)

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